Eowyn Lace |
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| Avevo passato la giornata a giocare con due mie "amiche", ma solo un onnipotente avrebbe potuto sapere che io, in realtà, mi stavo prendendo gioco di loro. Erano entrambe di due famiglie di incisori (per cui incisori anch'esse) ed io detestavo la loro visione della vita: credevano che la storia fosse solo da scrivere, da riportare su pergamene, pietre o papiri, ed erano solo delle piccole insignificanti croniste di eventi sciocchi. La vera storia è sempre quella che è ben nascosta sotto la coltre di quegli eventi che gli incisori riportavano con mano lesta e attenta, pensando di far del bene al mondo. Io, invece, credevo che la storia fosse ancora da fare e che anche io, anzi, soprattutto io, ne sarei potuta essere una degna partecipante, dinamica ma infida. Sarei passata ignara davanti a tutti con il mio specchio di bellezza, quello attraverso cui conoscermi a fondo, quello attraverso cui vedevo riflesso il mio volto e desideravo affogarvi solo i pensieri degli altri. Quel giorno, me ne stavo seduta vicina alla riva e guardavo le nubi muoversi nel cielo plumbeo: qualcuno avrebbe potuto dire che ero una romantica con lo sguardo assorto nell'infinito, ma nessuno avrebbe potuto immaginare quanti intrighi e quanti inganni si celassero dietro quegli occhi chiari. Non aspettavo nessuno seduta a gambe incrociate: era il Fato che forse aspettava me.
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